"Vieni
con me, staremo bene di nuovo insieme, te lo prometto. Ti ricordi
quando siedevamo sull'albero zitte a guardare tutte le cose
barcollare? Ti ricordi, Annabelle? Ma poi tu hai avuto paura di
cadere e ti sei buttata giù. Mi hai ferita, non ti è importato di
abbandonarmi.
Io ti ho
salvata, ti ho trattenuta con me. Tu ti sei rialzata, ti sei
appiccicata un cerotto colorato e hai cercato con tutte le tue
energie di dimenticare. E adesso eccolo qui il tuo dolore di acqua
dolce e salata che vuole annegarci.
Mi hai
tagliata via come una stupida ciocca di capelli: non lo sai che i
capelli ricrescono sempre, Annabelle? Siamo legate. Non puoi
sbarazzarti di te. Non puoi..."
Annabelle si
risvegliò bruscamente, appesa fra il sogno e l'acqua che le stava
alla gola: "Vattene! Non so chi sei! Lasciami!" ma quella
donna non aveva intenzione di demordere. Fu allora che
Annabelle Radetzky capì cosa doveva fare e a ventisette anni,
quaranta giorni, dieci ore e sei secondi di vita si rimangiò il suo
unico atroce pianto, lo tirò indietro come una risacca velenosa e
tragica, senza rimedio, lo riprese dentro di sé, lacrima per
lacrima.
Bevve quasi
tutto, le strade si asciugarono di corsa sotto una luna prepotente, le case si liberarono, i fiumi tornarono in sé, pizzicati da una pioggia piccola, morente. Restò solo
un rigagnolo che luccicava nella notte e non sapeva dove andare.
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